I colori del fiordaliso
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Programmare o improvvisare: questo è il dilemma

Questo mese Irene e io vi parliamo di un eterno dilemma: programmazione vs. improvvisazione.

Lo spunto è arrivato dalla poetessa di Ritenzione lirica che, alle prese con la sua prima raccolta di poesie, mi ha posto il problema.

Ecco le nostre riflessioni. Buona lettura!

Blufiordaliso

Car* Lettrici e Lettori,

siccome sono sempre stata onesta negli articoli che scrivo e pubblico sul blog e, dopo avervi aperto il mio cuore più volte in questo spazio di scrittura condivisa che è l’articolo mensile in collaborazione con Ritenzione lirica, anche in questa occasione non posso esimermi dal rendervi parte della mia maniacalità.

Già, perché di questo si tratta.

Sarà il segno zodiacale (vergine ascendente vergine), sarà l’educazione pragmatica e decisa ricevuta da bambina, a improvvisare faccio una fatica bestiale.

Non solo: io sono una fan delle liste. Sicuramente una delle “fan più attive” delle liste di qualsiasi genere e tipo, per utilizzare un linguaggio tanto caro al mondo Facebook, che della modalità “Lista” ha fatto un suo cavallo di battaglia.

Scrivo liste per organizzarmi la vita (o meglio, illudermi, così, di organizzarla) fin da quando ero bambina. All’epoca erano liste scolastiche: compiti da fare, capitoli da studiare, un planning degno di nota. Le scrivevo su block notes a righe o a quadretti, a seconda di cosa passava il convento.

Poi, adolescente, c’è stata l’evoluzione della specie: un bellissimo blocco per appunti spiralato, con copertina rigida e rigorosamente a righe ospitava le mie liste più disparate.

Inaugurato in quel tempo, non ho più abbandonato il metodo.

checklist-composition-handwriting

Adesso le mie innumerevoli liste trovano spazio in un’agenda sempre a righe, ma in formato A5, con copertina rigida, ma rilegata e con tanto di elastico a chiusura, ché le pagine stropicciate stropicciano pure l’ordine mentale che le liste hanno il prezioso compito di gestire.

Scrivo liste praticamente per tutto.

La lista con il planning settimanale, ovvero tutte le attività che riempiono i 7 giorni moltiplicati 52 settimane, è un elenco di tutto ciò che so o prevedo mi capiterà, dalla spesa al supermercato all’appuntamento dal dentista.

Poi ci sono le molteplici liste dedicate ai libri, ovviamente.

Da lettrice forte e maniacale, bibliofila e bibliomane, non può che esser così. 

E allora ecco che ho:

  • la lista dei libri che leggo durante l’anno, suddivisi per mese e con tanto di classificazione a stelline;
  • la lista dei libri che vorrei comprarmi, che provvedo ad aggiornare periodicamente con i nuovi titoli che hanno rapito il mio cuore e depennando quelli che hanno provocato lo svuotamento del portafogli;
  • le liste dei libri che compro: qui si parla al plurale, perché tengo una lista per ogni libreria in cui mi reco e su ciascuna scrivo titolo, autore, prezzo e pure sconto ricevuto, quando c’è;
  • la lista dei libri da leggere, con una pseudo programmazione di massima;
  • la lista dei libri che tratto nei vari gruppi di lettura nel corso dei secoli;
  • la neo inaugurata lista inerente la biblioterapia umanistica.

Ecco, invece, le liste della donna forte e determinata, quella tutta d’un pezzo:

  • la lista delle spese con carta di credito. In realtà sullo smartphone ho l’applicazione che mi dice in tempo reale per filo e per segno cosa spendo, quando e dove, ma il cartaceo ha il suo fascino e io non riesco a resistere;
  • la lista delle entrate e delle uscite sul conto corrente, perché una brava casalinga disperata mixata a donna lavoratrice come me deve sempre sapere quanto in basso cada mensilmente il proprio conto in banca;
  • la lista dei regali di Natale, fondamentale. Ogni anno una nuova lista, da confrontare con le liste degli anni precedenti, ovviamente conservate gelosamente. La mia prima lista di regali natalizi risale al 2004, fate un po’ voi.

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Poi ci sono piano e calendario editoriale, strutturati in liste e in continuo aggiornamento, dedicati al blog e ai social. Ammetto che queste sono ancora un po’ ostiche e difficili da rispettare, sigh.

Prima di ogni viaggio c’è la lista delle cose da mettere in valigia, preceduta dalle varie ipotesi di outfit declinate giorno per giorno. (Per le vacanze estive dello scorso anno ho pure fatto il disegnino dei vari capi di abbigliamento, per farvi rendere conto della paranoicità della questione.)

Infine, prima del Salone del Libro di ogni anno, c’è la LISTA DELLE LISTE.

Una sola lista che racchiude in sé tutto lo scibile umano in materia letteraria, integrando, per ogni giorno di apertura:

  • elenco degli stand da visitare, con nome dell’editore e posizione sulla mappa
  • elenco dei titoli da visionare presso ogni casa editrice
  • elenco delle domande da porre a ogni editore
  • elenco degli eventi a cui partecipare dentro il Salone
  • elenco degli eventi a cui partecipare fuori il Salone, ovvero attinti dal programma del Salone Off
  • elenco delle persone da incontrare, con relativi orari

Immaginatevi, pertanto, una me esagitata percorrere ogni giorno chilometri tra un padiglione e un altro, armata di trolley, almeno tre borse e lista alla mano. Un’avventura unica.

Insomma, a questo punto credo vi siate fatti un’idea del livello di maniacalità.

Programmare è un mantra, un’ossessione quasi, a cui slegarsi è davvero difficile.

Organizzare tutto il possibile è il modo che conosco per avere le idee chiare in testa.

Ma attenzione, le cose più belle spesso capitano per caso, improvvise. E sono magnifiche. Forse per questo continuo a scrivere liste: per non smettere mai di meravigliarmi ogni volta che una cosa bella capita inaspettatamente e mi lascia senza fiato.

Ritenzione lirica

LA PORTA LASCIATA APERTA

Disciplinavo i miei fremiti

per seguire le indicazioni

e avevo contenuto il mio tempo

entro i margini di un’agenda

ma una vecchia mi trovò

alla corsia dei detersivi: aveva

una storia per me, una genealogia

di denti, sguardi, ricordi scombinati;

per lei mi son fermata ad ascoltare.

Ho perduto mezz’ora. Alla cassiera

lasciai altri minuti: la conoscevo,

mi ricordava dalle altre vite passate

– Stai meglio coi capelli lunghi. – disse

mi rese uno sguardo che avevo perso

per strada. Tornai a casa più giovane.

Poi venne Gesù Cristo:

bussò alla mia porta ed era mio fratello

aveva fame e sete, gli serviva ascolto

era solo in mezzo agli ulivi

ed era un ospite

un’amica lontana

aveva gli occhi di mio nonno

non sapeva mentire.

Venne Gesù Cristo in persona

e non ebbi il cuore di tener fede ai patti

scordai i buoni propositi

e lo lasciai entrare, versai da bere, l’orecchio

si fece ventre, impastai un pane.

Alla fine del giorno qualcosa era scaduto

avevo lasciato indietro molti piani

sui miei programmi ero in ritardo mostruoso.

Feci un sol sonno, di pace:

per fortuna un vento imprevisto

era giunto a salvarmi

dal capitalismo del sentire.

Lascio sempre la porta aperta alla vita.

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Ecco, io sono decisamente più caotica di Sara.

Ci provo anche, a farmi dei programmi di massima, giuro. All’inizio di una nuova attività, ad esempio, presa dallo slancio di entusiasmo iniziale. Butto giù la mia to-do list e cerco di attenermici.

Allenarsi, ad esempio. Sì, dopo il lavoro da lunedì mi alleno un’ora a casa, un giorno braccia, un giorno gambe, un giorno addominali. Ho un piano.

Solo che una può anche pianificarsela, la vita: lei ti spiazza lo stesso. Ti prende in contropiede. Proprio quell’ora in cui dovevi allenarti, ad esempio, ricevi quella chiamata della tua migliore amica che ha una storia da raccontarti. Inizia a parlare e ti accorgi che avevi un sassolino da toglierti, un pensiero represso, che non sai come ma con Erica è venuto a galla, ti è sfuggito di bocca prima che potessi elaborarlo compiutamente e ti sei accorta che sì, ecco cosa manca.

E nel frattempo ti è venuta un’idea. Quindi quando attacchi butti giù due righe. Ma neanche il tempo di iniziare ed ecco, il telefono squilla di nuovo. E’ tuo fratello, ha bisogno di ascolto. Eccomi, sono qui.

Si fanno le sette, ora di cucinare. Vediamo cosa c’è in frigo? Poco, è giovedì.

Spesa veloce. E lungo la strada una farfalla, un tramonto particolarmente fotogenico, un incontro casuale con qualcuno che non vedevo da un pezzo…

Tutto questo per dire che non sono contraria alla pianificazione in sé: è sempre utile riordinarsi le idee.

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Nella consapevolezza, però, che ci si sta muovendo nel mondo delle idee e delle aspirazioni ideali. Il controllo è un’illusione: siamo esseri finiti, frangibili, distruttibili.

Alla fine la realtà ci coglie sempre di sorpresa. E meno male: se non lasciamo la porta aperta all’imprevisto, rischiamo di avvilupparci su noi stessi. La luce, la comprensione delle cose, passa per la relazione con l’altro e dunque, inevitabilmente, entra dalle crepe della nostra rigida illusione di controllo.

Non pianificare troppo è anche una mia segreta ribellione alla logica capitalista dell’accumulo: di traguardi raggiunti, di obiettivi prefissati, di ricordi. Quasi come se fosse un profitto, anche la nostra vita rischia di trovarsi incasellata in una partita doppia: Dare/Avere. To do/Done.

Io mi rifiuto. Il valore delle mie esperienze è relativo, non basta accumulare una tessera punti per farsi trovare preparati. Preferisco allenarmi ad essere flessibile e adattabile alle vicende della vita.

Ogni tanto dobbiamo perdere qualcosa, per poter proseguire il viaggio più leggeri e continuare a guardare con stupore alle esperienze del vivere.

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