Oggi su Blufiordaliso trova spazio un’autrice esordiente nata nel posto in cui vivo. La sua vita, la famiglia, la stessa storia che ha scritto hanno radici profonde nei posti che possiamo definire nostri, che ci hanno accolte fin dalla nascita.
Si chiama Graziella Brusa e il suo romanzo si intitola I fantasmi di Apollonia Birot, uscito lo scorso maggio 2018 per Araba Fenice Editore.
Abbiamo a che fare con un romanzo storico che si dipana tra passato e presente, svolgendosi su due piani temporali. La vicenda è, in principio, un regalo fatto all’autrice dalla dott. ssa Nina Ballor, una donna enigmatica e sfuggente che un giorno le mette tra le mani tre dossier pieni di documenti, per poi allontanarsi su una Panda gialla senza voltarsi.
A lei non è rimasto, dunque, che mettersi al lavoro, non senza qualche difficoltà, come mi ha confidato durante la chiacchierata di cui adesso vi sto scrivendo: “I dossier erano vecchi, come i documenti; gli scritti, quelli moderni per la precisione, molto confusi e ripetitivi. Pertanto ho faticato parecchio. La presenza di documenti autentici di fine Settecento, di scritti privati e anche di piccole opere letterarie ottocentesche firmate da don Giuseppe Birot ha solleticato la mia curiosità. In realtà, tutto di questa avventura regalata mi ha affascinata.”
Così è nata la storia di Apollonia Birot e dei suoi fantasmi. Una storia che fa dei salti nel Settecento, nell’Ottocento e nel presente di una Apollonia ormai anziana e affetta da disturbi mentali che, però, non la confondono a tal punto dal far riaffiorare l’intera storia della sua famiglia, composta di personaggi particolari e perduti, fino a ora.
“Gli avvenimenti del passato influiscono sul presente, che tu lo voglia o no, che tu ne sia conscio o no. Le persone appartenenti a una famiglia sono estremamente legate tra loro ed è assolutamente vero, secondo me, che gli errori dei padri ricadono sui figli. Non su tutti; non così direttamente, magari. Tuttavia non si sfugge. Questo è il messaggio vero del romanzo. Conosci te stesso e scegli i tuoi valori tra i tanti che ti hanno trasmesso nel sangue e nelle ossa. É l’unica ancora di salvezza per ciascuno di noi.”
E proprio raccontando della famiglia di Apollonia Birot, degli avvenimenti che sono accaduti in passato, di come la Storia, quella con l’iniziale maiuscola, abbia lasciato il segno anche in luoghi periferici e agricoli, così distanti eppure così vicini dalla Torino che sarebbe diventata la capitale di un Paese appena unificato, l’autrice ritrova le sue origini e una se stessa che, probabilmente, non pensava di conoscere: “É stato strano e interessante. […] Mi sono sovente commossa, ritrovandomi a conversare con queste persone che non sono più in vita, ma che hanno condiviso con me le strade, le piazze, le chiese della città. […] Posti condivisi in epoche diverse. É fuori dal comune, secondo te, pensare che i personaggi di un romanzo siano diventati, dopotutto, tuoi amici intimi?”.
Affatto, anzi. I personaggi dei romanzi, secondo me, sono creature dello scrittore e convivono così tanto dentro chi scrive da diventarne non soltanto amici, ma anche veri e propri membri della famiglia, della vita.
Inutile dire che il personaggio a cui Graziella è più legata sia proprio Apollonia: “É lei che ha trovato la forza di conoscersi meglio”.
Nella nostra chiacchierata passiamo, poi, alle domande più tecniche e maggiormente dedicate al processo di scrittura, ovvero alla fucina che ha portato al prodotto finale. Graziella mi racconta che, per lei, “scrivere è stupefacente perché tu pensi di possedere la storia, poi la storia possiede te. Ti vince e nasce da sola. Tu stai lì a battere sulla tastiera e pensi di essere posseduta perché le mani non le comandi più. Sgorga come acqua pura da una sorgente”. Un’autrice fortunata, dunque, perché nella creazione di questo romanzo non si è dovuta sottoporre ai costanti dubbi che, invece, hanno attanagliato tanti scrittori prima di lei.
Mi racconta di aver letto molto, trascritto e meditato.
La storia nasce così, per poi arrivare alla pubblicazione con Araba Fenice, una casa editrice di Boves (CN), che ha un occhio di riguardo per la narrativa del territorio e gli autori locali: “E’ stato abbastanza semplice. […] Buona la prima come si dice. Dopo poco più di un mese avevo il contratto in mano”.
Tempi stretti, quindi, ci hanno permesso di vedere sugli scaffali delle librerie questo romanzo, senza quasi dare il tempo all’autrice di identificarsi come tale: “Francamente non me ne rendo ancora conto. Devo abituarmi al pubblico, ma soprattutto mi piacerebbe avere una certa interattività con i lettori. Conoscere le loro opinioni e, perché no, le loro critiche; se hanno riconosciuto alcuni loro caratteri nei personaggi; se lo sforzo di Apollonia in qualche modo sia giunto allo scopo. Osservare un effetto, un pensiero dai miei lettori. Ecco questo mi piace”.
I suoi progetti per il futuro sono di scrivere altro, tra cui il sequel di questo romanzo. Per farlo, però, Graziella dovrà intraprendere un lungo viaggio di ricerca oltreoceano, per il quale prevede un lavoro di almeno tre anni. Nel frattempo, ha voglia di sperimentare e lo sta facendo con un nuovo romanzo breve, questa volta avventurandosi in una forma narrativa nuova, attraverso i dialoghi: “Solo i titoli dei capitoli daranno degli indizi. Il resto lo si capirà dal parlato e dal pensato visto che gli animali purtroppo non parlano”.
Un roseo futuro ci si prospetta davanti dunque. Nell’attesa, restiamo con il gusto di questa storia tra le mani, che l’autrice consiglia “a tutti coloro che sono alla ricerca della propria anima”.
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