“Come scrittore vorrei essere ricordato come qualcuno che ha ricevuto un talento molto piccolo ma che ha lavorato al suo meglio per utilizzare quel talento.”
Un cenno di autobiografia donato durante una delle ultime interviste, quella rilasciata da Kent Haruf a John Moore per il Denvercenter.org, poco prima di morire.
Un’affermazione che contiene soltanto un errore: quel molto piccolo riferito al suo talento.
Perché se è indubbio che Haruf abbia lavorato al suo meglio, è ormai noto a tutti che il talento c’era, e anche molto.
Da qualche anno i lettori italiani possono leggere i suoi romanzi grazie all’assiduo e professionale lavoro di NN Editore e di Fabio Cremonesi, il suo traduttore.
E, tra pochi giorni, un’altra perla si andrà ad aggiungere a una collana che già da sé vale molto: il 5 novembre uscirà Vincoli, il primo romanzo scritto da Haruf, che compare negli Stati Uniti nel 1984 con il titolo originale The Tie That Binds.
Nel cammino che NN Editore sta facendo per arricchire il suo catalogo con le opere dello scrittore americano, andiamo un po’ a ritroso e scopriamo, dunque, l’opera prima di un autore che, una volta conosciuto, non vorremmo mai lasciare andare.
Della potenza della sua scrittura si accorge anche lo scrittore John Irving, insegnante di Haruf al prestigioso Writers Workshop dell’Università dell’Iowa, a cui Haruf era stato ammesso (dopo una domanda inizialmente respinta) all’inizio degli anni Settanta.
É Irving a metterlo in contatto con il suo agente, letto The Tie That Binds. Il romanzo riceve il Whiting Award e una citazione nel Hemingway Foundation PEN.
Nel 1990 esce il secondo romanzo Where You Once Belonged, ma è soltanto nel 1999, con la pubblicazione di Plainsong – Canto della pianura, che arriva la notorietà. Haruf ha 56 anni. Il romanzo viene accettato da Gary Fisketjon (l’editor di Carver, Ford, McCarthy – tra gli altri) e la prima edizione vende 70.000 copie.
Il timido e riservato Haruf accetta un tour in 15 città: gli americani cominciano ad amare la sua scrittura, il romanzo vince dei premi ed è finalista al National Book Award.
Holt e i suoi abitanti diventano, così, parte della letteratura internazionale.
Il primo libro di Haruf uscito in Italia, nel 2015, è stato Benedizione, il terzo volume della cosiddetta Trilogia di Holt. Una scelta editoriale che ha ci ha fatto conoscere l’Haruf più recente (Benediction era uscito in America soltanto due anni prima), dal linguaggio spoglio ed essenziale.
Poco dopo sono arrivati anche Canto della pianura e Crepuscolo (i primi due della trilogia), a completare la cartina geografica di una Holt, cittadina immaginaria del Colorado, popolata di personaggi che paiono fin da subito persone reali, vive e vicine a noi.
E leggendo i contributi presenti sul sito di NN Editore, scopriamo che Fabio Cremonesi, il traduttore di Haruf in Italia, ha dichiarato di averci messo un po’ a entrare in sintonia con le nuove traduzioni, perché all’inizio si aspettava la stessa voce di Benedizione.
Canto della pianura e Crepuscolo, invece, hanno una continuità più evidente, anche a livello di traduzione, poiché più simili nella voce e nello stile, più morbidi, ancora più legati al primo Haruf.
Poi, l’anno scorso, è arrivato anche Le nostre anime di notte: Holt è sempre la cornice vivente. Una coppia di co-protagonisti vicini di casa, Addie Moore e Louis Waters, diventano i nostri migliori amici o la proiezione di noi da grandi.
Non importa che Robert Redford e Jane Fonda siano la coppia migliore che si potesse trovare per il film tratto da questo romanzo (qui il trailer; regia di Ritesh Batra). Addie e Louis sono fissi nei nostri pensieri, così come ce li siamo creati leggendo il libro.
E adesso? L’attesa è grande, l’emozione pure. Come sarà Vincoli?
Sappiamo che torneremo a Holt, nella primavera del 1977. Che ci sarà un’altra coppia di vicini di casa, Edith e Sanders. Ci saranno un segreto, la pianura del Colorado, la sua polvere e le sue mucche. Non ci serve sapere molto altro per affidarci a un’altro romanzo dell’autore americano, che una volta ha dichiarato:
“Personalmente torno sempre a leggere e rileggere Faulkner, Hemingway e Cechov. Non mi stanco mai di leggerli. […] Leggo tutti i giorni. Se non lo faccio, mi sembra che sia stato un giorno inutile.”
Parole che i lettori capiscono perfettamente e che colpiscono dritto al cuore.
Parole che gli scrittori capiscono perfettamente e che ci dicono parecchio di Kent Haruf.
Era un uomo molto metodico: vedeva la scrittura (e anche la lettura, come si evince chiaramente dalle sue parole) come un vero e proprio lavoro e cercava di scrivere sempre, tutti i giorni, per otto ore di fila.
Dopo essere tornato in Colorado, nel 2000, assecondando i desideri della seconda moglie Cathy Dempsey, si stabilisce con lei in montagna, in una casa fatta di tronchi. E il suo studio è il capanno degli attrezzi, un piccolo spazio in mezzo al verde dove spesso scrive con gli occhi coperti – soprattutto nelle prime fasi di creazione di un nuovo progetto – per non farsi distrarre dai refusi e dagli errori meccanici di stesura.
Kent Haruf consiglia agli scrittori di “leggere, leggere, leggere, leggere, leggere, leggere” e di “scrivere, scrivere, scrivere“: gli unici modi per affinare il talento e metterlo a frutto, ovvero dedicarsi a due delle attività più difficili che la mente umana riesca a compiere.
Le sue parole, poi, ci confermano quanto possiamo già intravedere tra le righe delle sue opere, soprattutto di quelle più recenti: Hemingway è uno dei suoi Grandi Maestri e lui non smette mai di studiarlo.
Leggiamo, ad esempio, gli incipit di Le nostre anime di notte e di Il vecchio e il mare: non sentiamo un po’ dello stesso vento accarezzarli entrambi?
“E poi ci fu il giorno in cui Addie Moore fece una telefonata a Louis Waters. Era una sera di maggio, appena prima che facesse buio.”
Le nostre anime di notte – Kent Haruf – NN Editore, 2017
“Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce.”
Il vecchio e il mare – Ernest Hemingway – Mondadori Oscar Moderni, 2016
In Kent Haruf ritroviamo precisione, raffinatezza, eleganza. Ogni parola è quella giusta, ricercata e scelta. Può essere quella, soltanto quella.
Che il racconto sia più corale (come in Canto della pianura o in Crepuscolo), oppure maggiormente incentrato su un paio di personaggi (come in Le nostre anime di notte), le parole scelte da Haruf vanno dritte al punto, senza troppi fronzoli.
É questa loro purezza, evidentemente, a stregarci.
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