La calma; dormire senza rumori per un’intera notte; gustare un piatto di pasta fumante al ragù (dopo tre mesi di insalata di riso, insalata di pomodori, insalata di fagiolini, ovvero tutto ciò che poteva sostituire il primo e dare un minimo di refrigerio); camminare senza sapere esattamente dove ti porterà quel sentiero; respirare aria fresca, che non sa di asfalto o melanzane fritte; parlare soltanto con chi vuoi, per dire le cose che vuoi, concedendoti di lasciare a riposo le corde vocali; le goffres con la marmellata di mirtilli; un intero pomeriggio in biblioteca, seduta vicino a tre ragazzi che leggono (veramente); due gocce di pioggia che cadono ogni tanto; un negozio di ceramiche che potrebbe azzerare il conto in banca; la bancarella che vende fiori di zucchine, patate e uova, ma il miele no; il soffitto azzurro di una chiesa; fantasticare su un futuro possibile, probabile o lontano anni luce; comprarsi un regalo di compleanno; pensare all’autunno e ai progetti che porterà; mettersi uno smalto nuovo, di un colore che prima ti piaceva soltanto sulle unghie delle altre; avere davvero voglia, per la prima volta in dieci anni, di ritornare al lavoro; rendersi conto che una settimana a Parigi e quattro giorni sui monti sono rigeneranti; scrivere.
Questi sono i colori dei miei ultimi giorni di vacanza.