Vi è mai capitato di provare in tutti i modi a sistemare qualcosa di irrimediabilmente perduto?
Un vaso caduto e ridotto in mille cocci. Il colore naturale dei capelli che ingrigiscono. Una relazione finita che tentiamo ancora di salvare, un’ultima volta.
Giù nella valle, l’ultimo romanzo di Paolo Cognetti (Einaudi) è il racconto della piega presa dalla vita dopo che ciò che si è rotto è sepolto nel corso del fiume, tra le nebbie dell’inverno, tra i denti di un cane randagio e possessivo dall’animo smarrito.
Luigi è un forestale: il legno era il suo lavoro, la sua vita felice, ma la bottega non rendeva e lo stipendio sicuro ha avuto la meglio nell’immenso tentativo di sistemare tutto.
È la vita con Elisabetta, che necessita di stabilità e certezze. Lei è incinta, aspettano una bambina.
Gli inverni in Valsesia sono lunghi da far passare e allora il turno passato in giro sul Defender è meno faticoso se Luigi riesce a concluderlo al bar, una birra, un whisky, un amaro. Un altro giro, una birra, un whisky, un amaro, un altro e così via fino al mattino dopo, fino alla sera dopo.
Beve Luigi, così come bevono molti uomini della valle, fermi durante l’inverno che tutto prende e nulla lascia, luce, calore, lavoro. Restano soltanto nebbia, freddo, solitudine e bicchieri da vuotare.
Beve Luigi, così come beveva il padre – bracconiere e montanaro – e come beve il fratello, Alfredo.
Insieme hanno condiviso molti bar. Insieme sono i due alberi che il padre piantò davanti alla loro casa di Fontana Fredda quando nacquero: Luigi è il larice, alto e slanciato verso la luce, dagli aghi caduchi, alla perenne ricerca di una rinascita che arriva ogni primavera e che, inevitabile, sfugge ogni inverno; Alfredo è l’abete, resistente, ombroso, creatura della montagna pura, così perduta e fragile se spostata altrove.
Quello che non so, e che non ho mai chiesto a papà, è perché quella volta abbia scelto il larice per mio fratello e l’abete per me. Eravamo troppo piccoli perché vedesse qualcosa in noi, perciò forse era solo un intuito da parte sua. O chissà, una benedizione.
Alfredo è in Canada da tempo. Abbatte alberi, attraversa foreste immense con il camion, perde la notizia della morte del padre, non torna in valle che molto dopo, per sistemare le cose con Luigi, vendergli la sua parte di casa.
Luigi a Fontanafreddo vuole rimetterla a posto, quella vecchia baita, e trasferirsi lì con Elisabetta, crescere la figlia con ricordi nuovi, cancellando quelli vecchi.
Alfredo a Fontanafreda ritrova soltanto le asperità di un padre che non c’è più, l’alcol che scorre veloce nei bar della valle, un’accetta che vuole portare via come ricordo, non prima di aver abbattuto il suo albero, l’abete che non ha più ragione di esistere.
E con quell’accetta compie un gesto avventato, barbaro, annebbiato dai giri di bicchieri e dallo scherno, certo, ma pur sempre atroce. Non l’ho ancora digerito, quel passaggio, lo ammetto: il limite è certamente mio, eppure non posso far a meno di pensare che la sua uscita di scena fosse già segnata, tragicamente inevitabile.
Giù nella valle è un romanzo di disperazione e tenerezza, di sentimenti e di montagna. È un romanzo animalesco e selvaggio, le sue pagine suonano una musica di posti dimenticati e di aria compromessa: sarebbe limpida e forte se l’inverno non fosse così lungo e i bar così attraenti.
Luigi e Alfredo mi sono entrati nelle ossa, nel sangue e così tutta la loro disperazione: ritrovare la luce, dopo il buio di un’intera esistenza, è difficile, ma la fiducia silenziosa, quella di Elisabetta, è il raggio di sole che squarcia il freddo e arriva ai rami spogli del larice rendendoli un’altra volta pronti a nuova vita.
Ritrovare Paolo Cognetti nella tragica purezza di questi capitoli mi ha trascinata in una lettura perduta e irreparabile, da cui è impossibile staccarsi: la disperazione è di tutti, così come questa scrittura meravigliosa e inevitabilmente perfetta.
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Per approfondire:
Qui e qui trovate gli altri libri di Paolo Cognetti: se non li avete ancora letti, fatelo. È un consiglio che vi do davvero con tutto il cuore.
Tempo fa ho scritto un articolo dedicato ai libri che parlano di montagna.
Di Paolo Cognetti vi ho raccontato anche Le otto montagne, Il ragazzo selvatico e La felicità del lupo.