Leggere con se stessi
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Sette anni di belle estati

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Esiste un modo speciale di festeggiare i compleanni, il modo che preferisco e che più mi appartiene. Non costa nulla (o, al massimo, molto poco), si può mettere in pratica da soli e, in realtà, ci permette anche di prolungare la festa per molti giorni a venire.

È incolore, inodore, ma ha molto sapore: quello della bellezza e della soddisfazione; il gusto che ci fa impazzire, il sapore dei libri che più amiamo.

Oggi Blufiordaliso compie sette anni (che numero bellissimo, il sette!) e ho deciso di festeggiare con voi parlandovi di uno dei miei scrittori preferiti, che spesso vedete comparire nelle mie letture, sulle storie di Instagram o trapelato dai miei stati d’animo: Cesare Pavese.

Lui, con Emily Dickinson (di cui vi scrivo spesso e volentieri, qui e non solo), è quell’insieme di parole che non mi lascia mai: le sue raccolte di poesie sono sempre a portata di mano; dei romanzi ho varie edizioni; sulle sue pagine ho consumato molte matite in appunti, sottolineature e cuori spezzati.

Ho incontrato la sua scrittura a scuola, come penso la maggior parte di voi, e ho continuato a leggerlo nel tempo, amandolo e odiandolo, staccandomene per lunghi periodi, tornando sempre e comunque. Delle sue opere, le poesie sono ormai parte di me e i romanzi sono degli incontri fatali che mi insegnano qualcosa di nuovo ogni volta che li rileggo, con quel loro italiano novecentesco perfetto e perduto, lo stile spesso asciutto eppure assolutamente adeguato.

Le storie che rappresentano Cesare Pavese, per me, non sono forse i capolavori più noti, La luna e i falò o Dialoghi con Leucò, bensì due romanzi brevi e distanti nel tempo l’uno dall’altro che, eppure, hanno rubato il mio cuore: Il carcere e La bella estate.

Pavese scrisse Il carcere in pochi mesi a cavallo tra il 1938 e il 1939 e lo dedicò al periodo di confino che visse a Brancaleone Calabro. Fu pubblicato soltanto dieci anni dopo, nel 1948, in una raccolta dal titolo Prima che il gallo canti, insieme a La casa in collina.

Proprio io – che sono piemontese, che vivo non troppo lontano dalla terra natia dell’autore e che amo Torino quanto lui – mi sono innamorata di Cesare Pavese con un romanzo ambientato al mare, dove il mare è uno dei protagonisti, una delle pareti della sua prigione, ma anche l’elemento delle stelle e del buio più puro, come ci racconta in una delle sue poesie più belle, Lo steddazzu.

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Dopo Il carcere ho letto molto altro – quasi tutto, ma non tutto perché altrimenti saprei di non avere più nulla di suo da scoprire.

E il secondo coup de cœr è avvenuto con La bella estate, non molto tempo fa.

La bella estate è un romanzo breve che Pavese scrisse nel 1940, anche in questo caso in pochissimo tempo, tra il 2 marzo e il 6 maggio di quello stesso anno.

E, come per Il carcere, la sua pubblicazione avvenne molti anni dopo, nel 1949, in raccolta con Il diavolo sulle colline e Tra donne sole, trittico che valse allo scrittore il Premio Strega nel 1950, appena prima della morte.

Con La bella estate siamo a Torino e le protagoniste sono due giovani donne, Ginia e Amelia.

Ginia è sarta in uno dei tanti atelier di modiste che sul finire degli Anni ‘30 rappresentano ancora Torino come la capitale della moda elegante italiana. Amelia fa la modella: posa per artisti stravaganti e squattrinati che sono carogne, ma dai quali non riesce mai a staccarsi veramente.

Le due si incontrano in un’estate volubile e leggera come sono quelle di queste parti (anzi, come erano, prima dei recenti cambiamenti climatici).

Aveva piovuto, e l’asfalto e le piante eran tutte lavate: si sentiva il fresco in faccia.

Ginia comincia ad avvicinarsi al mondo di Amelia, insieme vanno a ballare in collina, frequentano i caffè degli artisti, ridono. Amelia è sfrontata, coraggiosa, bella. Esce senza cappello, senza calze. Ginia la osserva, un po’ vorrebbe essere come lei, un po’ teme la sua libertà

Ginia avrebbe pagato a sentirla parlare con voglia di molte cose che a lei piacevano, perché la vera confidenza è sapere quel che desidera un altro, e quando piacciono le stesse cose una persona non dà più soggezione.

La bella estate è una storia scritta con voce femminile da uno scrittore che, come racconta Maria Bellonci (ideatrice del Premio Strega, ndr) parlava con le donne come con gli uomini, senza cambiare tono, senza affettazione, da pari.

Ginia e Amelia, così giovani e diverse, così impreparate eppure pronte ad affrontare la vita sono diventate due persone reali, per me. La loro malinconia è stata la mia; ho incrociato le loro strade; le loro illusioni le ho vissute anche io. E come Ginia penso sempre che un’estate come l’ultima non l’avrebbe passata mai più.

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Recentemente La bella estate è anche un film diretto da Laura Luchetti, con Yile Yara Vianello (Ginia) e Deva Cassel (Amelia). L’ho visto al cinema, ovviamente, ed è stato bellissimo.

Ci sono andata poche ore prima del mio compleanno (proprio il genetliaco vero della Sara che vi scrive) e mi sembrava quanto mai adatto parlarne anche in occasione dei festeggiamenti per il settimo anno di vita di questo mio piccolo e caro blog.

Liberamente tratto dal romanzo di Pavese, ne rispetta la storia aggiungendo un tocco contemporaneo che non mi è dispiaciuto. Ho amato costumi e fotografia, ma soprattutto il rispetto che regista e sceneggiatori hanno avuto per tanti, piccoli dettagli del romanzo, riportati sapientemente anche sul grande schermo.

Il compleanno di Blufiordaliso è sempre stato un regalo per voi: stavolta ho scelto di raccontarvi un autore speciale come Cesare Pavese, augurandomi che anche chi non lo conosce ancora possa avvicinarsi a lui.

Spero di averne parlato con almeno un poco della discrezione, dell’eleganza e dell’essenzialità che lo contraddistinguevano. Sicuramente l’ho fatto con la timidezza e l’emozione che ogni volta provo davanti a una pagina bianca e a un anno a venire: anche lui non ha mai smesso di provarle, timidezza ed emozione, e ci ha dato parole senza fine.

Auguri Blufiordaliso:

ad altri, tanti libri, belle estati e giardini pieni di rose.

Bonus track

Recentemente i diritti di pubblicazione delle opere di Cesare Pavese si sono liberati e molte case editrici hanno dato alle stampe numerose riedizioni. In questo articoli i link impostati sui vari titoli vi indirizzeranno tutti sul sito di Einaudi, l’editore storico di Pavese. Mi sembrava giusto omaggiarlo anche così.

Vi sono numerosi libri che potete leggere per approfondire la figura di Cesare Pavese. Vi suggerisco:

Quell’antico ragazzo di Lorenzo Mondo, Guanda

A Torino con Cesare Pavese di Pierluigi Vaccaneo, Giulio Perrone Editore

Il «vizio assurdo» di Davide Lajolo, Minimum Fax

A Santo Stefano Belbo, paese di nascita di Cesare Pavese, c’è la Fondazione Cesare Pavese, un ente meraviglioso che si occupa di tenere viva la memoria, le opere e l’eredità culturale dello scrittore. Ogni anno organizza un festival internazionale degno di nota e, in occasione della presente edizione, è uscito anche un podcast bellissimo dedicato alle opere pavesiane.

Mi perdonerete se in questa ultima foto ho gli occhi lucidi: le parole di Cesare Pavese mi fanno questo effetto. E anche – un po’, ogni tanto – la musica che ascolto. Allora, siccome è una tradizione di compleanno di Blufiordaliso, mentre scrivevo ascoltavo la playlist Autumn Vibes 2023 su Spotify: eccola.

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