Voi sapete chi è “giugno” –
io darei lui –
e rose di giornata sbocciate a Zanzibar –
e corolle di gigli – come pozzi –
Sempre più spesso, dirmi di andare in giardino non è più un memo, un devo ricordarmi di.
Nonostante giornate piene e to do list che non trovano mai fine, il tempo del giardino è diventato per me un tempo sacro, necessario: controllare le rose, spiare silenziosamente la vita di un angolino pieno di violette e di erica, queste sono le mie boccate d’aria tra un dovere e l’altro.
Leggendo Emily Dickinson e i suoi giardini mi sono resa conto definitivamente (perché un gran sospetto già ce l’avevo!) di quanto anche per la famosa poetessa americana i gesti del giardino siano stati essenziali, irrinunciabili.
In questo bel volume edito L’Ippocampo, Marta McDowell, storica, giardiniera e docente universitaria di storia del paesaggio e orticoltura, ci conduce attraverso il ciclo delle stagioni nel giardino di Emily Dickinson, in un viaggio appassionante fatto di piante, fiori, poesie e memorie. Con molta cura per i dettagli, l’autrice descrive come la poetessa e la sua famiglia coltivassero i loro giardini, dedicando molto tempo alla scelta delle piante, al rispetto delle stagioni, all’osservazione e al lavoro della terra.
Emily Dickinson apparteneva a una famiglia borghese piuttosto abbiente di Amherst, Massachussetts: il padre Edward, erudito e politico, condivideva con il figlio maggiore Austin la predilezione per gli alberi, che i due piantavano senza parsimonia e con velleità paesaggistiche; la madre Emily Norcross (da cui la poetessa prende il nome) viene spesso descritta impegnata tra frutta, piante, polli e amicizie solidali. Emily e la sorella minore Lavinia sono le custodi del giardino: insieme condividono il profondo senso di osservazione della natura ma, mentre gli sforzi di Vinnie si concentrano maggiormente entro le mura della proprietà – con la cura del terreno, le piantumazioni e la raccolta di numerose varietà di piante e fiori, specialmente annuali – Emily fa sue anche le passeggiate quotidiane nella campagna circostante. I fiori selvatici che incontra sul cammino vengono catalogati nel suo famoso Herbarium, la natura passa attraverso i suoi versi e ogni persona che popola la sua vita è sempre al centro dell’attenzione, così come il volo di un’ape o l’abbaiare del suo irsuto alleato Carlo. Amici e conoscenti parlano nelle lettere dei nosegays, mazzolini di fiori di stagione che Emily inviava loro in dono o che lasciava sui banchi della chiesa, la domenica.
Leggeva Thoreau ed Emerson, George Eliot ed Elizabeth Barrett Browning. Scriveva poesie su qualunque pezzo di carta trovasse a portata di mano. Vestiva di bianco e incontrando le persone porgeva loro prima dei fiori, poi, timidamente, la mano.
Viaggiava, la giovane Emily, alla ricerca di anime affini e di nuovi fiori da impiantare in giardino. Era curiosa di conoscere le novità, avida di sapere: il suo spirito profondamente libero – laddove la libertà è intesa come stato interiore più puro – non l’abbandonava mai.
I suoi componimenti, che largamente utilizzano la natura come metafora e mezzo di comunicazione della vita, descrivono le esistenze che la circondano e che ha saputo cogliere in modo universale e senza tempo.
Marta McDowell in Emily Dickinson e i suoi giardini narra la vita di una donna troppo spesso ricordata solo per la sua scelta di solitudine, attraverso un racconto pieno di cura di tutto il mondo naturale che la circondava e che, grazie al prezioso lavoro di numerosi volontari, è stato oggi recuperato e reso visitabile al pubblico.
Il volume è impreziosito da un approfondito apparato botanico che raccoglie tutte le specie e le varietà che Emily Dickinson conosceva e da note bibliografiche che invitano irrimediabilmente il lettore a volerne sapere sempre di più, in uno stesso circolo virtuoso che spingeva la poetessa, ogni primavera, a volersi immergere in giardino con sempre maggiori entusiasmo e curiosità.
Fonte di grande ispirazione e di notevole sapere, ho letto queste pagine e osservato ogni illustrazione e fotografia con gli occhi a forma di cuore: è l’invito che rivolgo anche a tutt* voi, con l’augurio di provare per le poesie di Emily Dickinson un rinnovato amore.
testo di Sara Valinotti, Blufiordaliso
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Emily nel suo giardino, a tarda primavera
Oggi è bellissimo
scrive Emily al fratello Austin,
altrettanto luminoso e azzurro, e verde e bianco e cremisi quanto i ciliegi in piena fioritura, e l’erba che ondeggia appena, e cielo e colle e nuvola.
I campi e i giardini di Amherst sono pieni di alberi da frutto; anche il frutteto di casa Dickinson fiorisce in tarda primavera, nei giorni che precedono e seguono quella che la poetessa definisce la domenica bianca, ovvero il giorno di Pentecoste, sette domeniche dopo la Pasqua.
A casa Dickinson, scrive Mattie, la nipote di Emily, c’erano tre alti ciliegi in fila, che costeggiavano il sentierino di pietra sul lato est della casa, e susini e peri fin giù al giardino, bianchissimi e inghirlandati a primavera. Più in là, in fondo al giardino, un meleto piantato dal patriarca della famiglia, Samuel Fowler Dickinson, secondo uno schema geometrico: piantare gli alberi da frutto in maniera geometrica, permette di massimizzare lo spazio e l’esposizione al sole.
Ai piedi dei meli, per rompere la monotonia della disposizione regolare delle piante, crescono fiori spontanei, violette, soffioni (denti di leone), ranuncoli gialli, spazi incolti che Emily aveva cura di preservare: a Maggio semino il mio fasto scrive Emily facendo riferimento alle semine primaverili lasciando angolini alle margherite e alle colombine.
La tarda primavera è anche il periodo nel quale le attività in giardino si moltiplicano: è il momento per Emily di mettere a dimora i semi raccolti l’anno precedente, conservati in dimore di carta, finché non li chiamerà il sole. Tolti dal loro involucro di carta, la poetessa si inginocchiava e procedeva alla semina dei fiori, nel terriccio accuratamente preparato. Emily adorava i bulbi, e la tarda primavera era il momento perfetto per piantare quelli che fioriranno in piena e tarda estate, come i gigli. Vado pazza per i bulbi scriveva Emily all’amica Cornelia Sweetser che le aveva spedito alcune bulbose per il suo giardino, riposano già nella loro dimora sotterranea.
I giardini e gli interni delle case traboccano di profumi: il lillà di Emily, arbusto antico, è carico di infiorescenze che attirano le api, creature osservate dalla poetessa dalla finestra di casa: Un’ape sta mangiando un lillà davanti alla finestra. Eccola, se n’é andata! Quanto sarà felice la sua famiglia di rivederla!. Le peonie e le iris, coloravano i parterre nel giardino, con le loro tinte piene e materiche e riempivano le brocche poggiate sui comò nei soggiorni delle case.
I non ti scordar di me, i mughetti e i fiori di lillà erano protagonisti dei cosiddetti “cestelli di maggio”: piccoli bouquet che venivano appesi alle porte di casa con nastri. Austin, il fratello di Emily, di tanto in tanto ne lasciava uno sulla porta di casa di una ragazza che amava corteggiare.
Ma nel giardino di inizio estate la nota dominante era costituita dalle rose, la grande passione di Emily. Rose resistenti per affrontare i rigidi inverni del New England, varietà antiche o moderne ibridazioni, presentate ai saloni di orticoltura che nell’800 iniziano a pullulare negli Stati Uniti e in Europa. L’inventario delle varietà delle rose coltivate nel giardino Dickinson lo dobbiamo a Mattie, nipote della poetessa: tra le specie da lei citate i botanici hanno riconosciuto la rosa damascena, l’ancella damascata di Emily, la rosa multiflora Grevillei, rampicante selezionata nel 1816, con i suoi steli conformati a guisa di piccoli bouquet, la rosa rugosa, detta anche rosa riccio, spinosa come l’animale da cui prende il nome, la rosa Blush Noisette, ibrido americano inventato dall’orticoltore Philippe Noisette, contemporaneo di Emily Dickinson, la rosa Majalis dal profumo speziato che ricorda la cannella, la rosa gallica, erroneamente definita calico da Mattie nel suo inventario delle rose, e la rosa balsamina (Eglantine) a fiore semplice.
Per Emily, una passeggiata tra le sue rose valeva più di un viaggio a Parigi, a Venezia o Philadelphia: Parigi non potrebbe foggiar gonne bordate di smeraldi come questi; Venezia non ha guance da mostrare di simile lucentezza.
testo di Clara Stevanato, La jeune botaniste
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Consigli di lettura
Emily Dickinson e i suoi giardini
Marta McDowell, trad. di Claudia Valeria Letizia, trad. delle poesie di Silvia Bre
L’Ippocampo, pp. 268, ill.
Le parole hanno le ali. Vita straordinaria di Emily Dickinson
Jennifer Berne, trad. di Beatrice Masini, ill. di Becca Stadtlander
Rizzoli, pp. 48, albo illustrato
Natura, la più dolce delle madri
Emily Dickinson, a cura di Silvia Raffo
Elliot, pp. 176, raccolta di poesie con testo inglese a fronte
Centoquattro poesie
Emily Dickinson, a cura di Silvia Bre
Einaudi, pp. 221, raccolta di poesie con testo inglese a fronte
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Le foto che arricchiscono questo articolo sono state scattate presso il Vivaio Maurizio Feletig di Arignano (TO), che ringrazio per la disponibilità e la bellissima location, nella cornice dell’evento Rosae rosarum rosis 2022.
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