Quale lettura può celebrare al meglio l’arrivo dell’autunno se non una dedicata alle foglie?
Il libro di ottobre della rubrica Giardini Letterari è interamente dedicato a loro, ai colori che assumono durante le stagioni e allo spettacolo di luce che ci regalano proprio in queste settimane: Piccolo manuale illustrato per cercatori di foglie è un agile e interessante volume, ricco di curiosità e di saperi, di leggende e di storie proprio sugli alberi e sui loro vestiti. Clara ed io lo abbiamo scelto per questo mese e siamo felici di condividerlo ancora di più, affiancandoci a un altro progetto di lettura che noi stesse seguiamo da vicino: queste pagine, infatti, sono anche il libro del mese del Gruppo di Lettura Natura Libri, ideato da Gaetano e molto partecipato. Siamo davvero felici di percorrere insieme questo pezzo di cammino letterario tra le foglie!
Piccolo manuale illustrato per cercatori di foglie, edito Il Saggiatore, con i testi di Giuseppe Zare e le illustrazioni di Sofia Paravicini, è la lettura perfetta per avvicinarsi agli alberi in modo discreto e illuminato: diviso in brevi schede, ciascuna dedicata a una pianta, compie un viaggio nella natura e nei secoli, alla scoperta di come gli alberi si siano adattati nei loro panni essenziali e fondamentali alla vita in ogni più remoto angolo del pianeta. È anche una riflessione preziosa sull’importanza di ciò che diamo ormai per scontato, ovvero il meccanismo della fotosintesi clorofilliana. Largamente basato sulle foglie e sulla loro capacità di assorbire luce e rilasciare ossigeno, è un processo a cui troppo poco pensiamo, sebbene sia condizione necessaria per la nostra sopravvivenza. Come faremmo senza alberi e foglie?
Anche il mondo ha le sue radici
e noi possiamo ritrovarle ogni giorno accanto alle nostre, negli alberi. Molte delle nostre ritualità quotidiane sono legate proprio a loro, al legno che ci mettono da sempre a disposizione, alle sostanze medicinali contenute nelle cortecce, alle storie e alle leggende che noi – piccoli esseri umani in confronto alla maestosità di certi tronchi secolari (se non addirittura millenari) – abbiamo inventato e tramandato per rischiarare il buio delle nostre notti.
In Giappone l’autunno ha un momento preciso, chiamato momijigari: è la caccia all’acero, il periodo di luce che riempie il paesaggio di gialli e di rossi accesi. Gli aceri esplodono la loro bellezza prima del riposo invernale e osservare da vicino questi colori così belli, pieni di anima, è un dono eccezionale. In primavera, poi, gli occhi si riempiono di nuovo di bellezza quando arriva l’hanami: la fioritura dei ciliegi, oggi famosa in tutto il mondo, è uno spettacolo di rosa e di bianco, la vera rinascita della natura (e dei nostri spiriti) dopo la stagione fredda. Sapevate che nei giorni di hanami le previsioni meteo in Giappone sono particolarmente seguite? In quel periodo, infatti, non si limitano a riferire le condizioni atmosferiche, ma calcolano e osservano anche il sakura zensen, il fronte dei fiori, ovvero l’avanzare della fioritura dei ciliegi da sud verso nord.
Molti alberi, come il ciliegio o l’albicocco, hanno fatto lunghi viaggi per arrivare sulle nostre terre mediterranee. Altri, come la betulla, hanno cominciato la loro peregrinazione da nord verso sud millenni fa, in seguito alle glaciazioni. Il suo tronco splendente color della luna ha ispirato pittori, sciamani e scrittori.
Il faggio – forse il mio albero preferito tra quelli che riempiono di bellezza i nostri boschi (ndr Sara) – in lingua germanica è chiamato buche: dal suo legno si ricavava moltissima carta, genesi e supporto di chissà quante storie ho letto finora. In tedesco libro si dice buch; in inglese la radice di book è la medesima: rimango sempre senza parole quando le storie di carta si intrecciano così magnificamente alla natura.
Tra gli alberi che arrivano da lontano, invece, il mio preferito (ndr Sara) è senza dubbio il ginkgo biloba: le sue foglie a ventaglio (perfettamente simmetriche se le piegate a metà, avete mai provato? Per questo è chiamato ginkgo biloba, per i loro due lobi) sono così belle che ogni volta resto a occhi aperti. Il ginkgo è una gimnosperma, ovvero una pianta a seme nudo: la pianta femmina produce dei frutti simili a piccole albicocche, nella cui polpa (puzzolentissima!) è custodito il seme. Le piante maschili, invece, non producono frutti e sono quelle che maggiormente troviamo nei nostri parchi, sebbene riconoscere il genere di un esemplare sia possibile soltanto dopo sette, otto anni dalla piantumazione. Resto sempre colpita dal fascino che questo albero suscita negli esseri umani da millenni, tant’è che oggi l’esistenza stessa del ginkgo è legata all’intervento umano: ne r-esistono in natura soltanto un paio di nuclei originali e spontanei, in Giappone, mentre tutti gli esemplari che finora ci è capitato di vedere sono frutto di moltiplicazione realizzata da donne e uomini giardinieri.
Piantare un acero accanto a un ginkgo è un atto di spregiudicata bellezza:
in autunno il giallo acceso del ginkgo e il rosso carminio dell’acero offrono ai nostri occhi uno spettacolo di luce e opulenza in grado di rinfrancare anche gli animi più tristi.
Il castagno più famoso del mondo, il cosiddetto Castagno dei 100 cavalli, si trova sulle pendici dell’Etna in Sicilia: tre fusti distinti a formare un unico tronco da cui si dipanano rami maestosi che gettano la loro ombra su una circonferenza di decine e decine di metri.
L’alianto fu vittima, invece, del proprio successo: arrivato in Europa a metà ‘700 grazie alla febbre di esotismo coloniale, si diffuse rapidamente fino a diventare una pianta infestante, destinata a colonizzare tenacemente giardini urbani e aree dismesse.
Poi ci sono il salice e il noce, due alberi che le leggende legano alla magia.
Ancora una volta l’etimologia ci viene in aiuto e allora scopriamo che da willow (salice) deriva la parola witch (strega), forse perché di vimini (ovvero dei teneri rami di salice) si diceva fossero fatte le loro scope. I gusci di noce, invece, diventano spesso le altalene delle fate e allora ecco che il noce è l’albero della magia bianca, della protezione e dei buoni auspici.
Il noce e il salice sono così leggenda e storia perché utilizzati entrambi non soltanto per tramandare racconti di streghe e magia (essendo Halloween in arrivo, sono pure tremendamente a tema!), ma anche in moltissimi frangenti quotidiani della vita umana, da secoli: di noce sono fatti parecchi mobili di casa; dalla salicina deriva la moderna aspirina, solo per fare due esempi tra gli usi più noti.
Il biancospino è un albero modesto: il suo legno durissimo serve a poco, sebbene sia adatto a fabbricare piccoli oggetti come le trottole; il suo portamento, di per sé meno maestoso, è spesso ulteriormente sminuito da drastiche potature nelle siepi di città; eppure il biancospino è pura meraviglia: è un albero longevo che può vivere fino a 500 anni e le sue trasformazioni nel corso delle stagioni lo rendono una vera sorpresa quando ci si imbatte in un esemplare nel bosco. In primavera, tra i rami contorti e spinosi, si dipana una nuvola di fiori candidi dal profumo lievemente acidulo, descritto per la prima volta da Proust, per il quale il biancospino era la madeleine degli alberi:
Nonostante la silenziosa immobilità dei biancospini, quell’odore intermittente era come il mormorio della loro intensa esistenza e l’altare ne vibrava come in campagna una siepe visitata da viventi antenne.
Sul principio dell’estate, piccole foglie lobate e una moltitudine di bacche ancora verdi ricoprono la chiome; nella stagione fredda le bacche rosse e lucidissime sono una prelibatezza per uccelli e umani che dalle bacche ricavano dolci marmellate.
A proposito di profumi e marmellate, il fico nutre da tempo immemore i popoli del bacino del Mediterraneo. Questo albero antico ha preso il proprio nome botanico, ficus carica, dalla Caria, regione dell’Asia minore (attuale Turchia) da dove si credeva fosse originario; nel mondo, se ne conoscono almeno altre 800 specie sparpagliate su tutti i continenti che hanno dato origine a leggende e miti ancestrali. Quando eravamo piccoli, ci è stato insegnato che dal fiore nasce il frutto: ma qualcuno di voi ha mai visto il fiore del fico? La visione del fiore del fico è un privilegio concesso solamente ad un imenottero, il blastophaga psenes, piccolo come un moscerino: il frutto del fico è in realtà un’infiorescenza a forma di sacca al cui interno si trovano decine di minuscoli fiori cui il blastophaga accede, per l’impollinazione, dal piccolo foro alla base del frutto. Il fico è l’emblema della biodiversità: ogni singola specie di fico presente sulla terra dipende, per l’impollinazione, da una o due specie di vespa. Ottocento varietà, ottocento vespe impollinatrici: l’estinzione di una specie di fico causerebbe l’estinzione di una vespa e viceversa. Questa constatazione dovrebbe essere sufficiente per comprenderne il peso e assumere la nostra parte di responsabilità nel preservare la biodiversità sul pianeta.
Piccolo manuale illustrato per cercatori di foglie ci parla di molti altri alberi e delle loro particolari foglie: il limone (e il suo arrivo sulle coste mediterranee); il melo e l’ulivo, con la loro simbologia ricca e universale; il frassino e la quercia; il platano e il pioppo, albero che ha la straordinaria capacità di rendere visibile il vento attraverso le sue foglie, bianche e sonore.
Abbiamo molto amato questa lettura, come sempre ci capita con i libri da cui impariamo tanto. Tra queste pagine ogni lettrice e ogni lettore può anche custodire le foglie che trova in natura, costruendo così il proprio piccolo erbario personale tutto dedicato alle foglie. Che belle, ritrovate dopo tanto tempo tra le pagine di un libro; che bello coglierne le sfumature delle stagioni e ricordare il momento in cui le si è raccolte.
testo di Clara Stevanato e Sara Valinotti
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Consigli di lettura e curiosità
Troverai più nei boschi di Francesco Boer, Il Saggiatore, pp. 248
L’incredibile viaggio delle piante di Stefano Mancuso, Laterza, pp. 144
Arboreto salvatico di Mario Rigoni Stern, Einaudi, pp. 104
Alberi di qui e d’altrove di Emmanuelle Kecir-Lepetit e Léa Maupetit, L’Ippocampo, pp. 96
Elogio della terra di Byung-Chul Han, Nottetempo, pp. 192
In bosco di Daniele Zovi, Utet, pp. 224
Le foto che corredano questo articolo sono state scattate all’Orto Botanico di Torino, un posto magico di cui vi ho parlato qui.
In novembre Clara ed io saremo ospiti della consueta diretta Instagram di Natura Libri dedicata alla condivisione della lettura mensile: seguiteci sui nostri canali per sapere quando vederci!
Tra le pagine di Piccolo manuale illustrato per cercatori di foglie ci sono appositi spazi dove attaccare e conservare le foglie raccolte durante le nostre passeggiate: quali avete trovato? Fatecelo sapere nei commenti.
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